sabato 7 gennaio 2012

Memories.


Ecco qua. Niente più ronzii fastidiosi, solo buio e silenzio e lui. Ancora lui. Ancora qua e tu ancora a pensare a lui. Forse dovresti smetterla.
Si, dovresti decisamente smetterla! Magari però un’altra volta, questa non è la serata adatta per i buoni propositi. Lentamente, quasi avesse timore delle capacità della tua mente contorta si affaccia alla memoria il suo sorriso. Ad occhi chiusi lo guardi farsi sempre più nitido. I capelli riccioluti, castani, con quella strana piega di lato, la pelle chiara e liscia nonostante il ricordo risalga al periodo estivo, quasi ne puoi sentire la consistenza sotto i polpastrelli. E gli occhi, quegli occhi in cui da anni sogni di perderti dentro, così verdi e luminosi, così invitanti, dello stesso colore del mare cristallino; il naso, le labbra sottili, morbide, che cercano baci, che donano baci, perfette, e ancora quelle due fossette che incorniciano il viso, se ne stanno lì e spuntano sulle sue guance ogni volta che le labbra si schiudono mostrando due file di denti bianchi e dritti.
Inconsapevolmente lo cerchi nel buio con le mani, tendi il braccio verso quella scintilla nei suoi occhi e ti ritrovi ad abbracciare il vuoto. Una fitta si fa strada tra i ricordi, prepotente giunge fino al tuo petto e brucia, brucia come se ti avessero colpito realmente. Chiudi le braccia attorno al tuo busto e strizzi gli occhi. No, no, no . Non puoi, e non devi. Questo è torturarsi, lo sai quanto male fa, il tempo non aiuta, il tempo stanca, ma a quanto pare tu non lo sei ancora abbastanza da decidere di lasciar perdere, di smetterla a farti dell’altro male. Come stessi partecipando ad una corsa, devi competere con migliaia di altri concorrenti, devi correre a perdi fiato per poter raggiungere il traguardo, ma tu fiato non ne hai più, perché ogni volta è come un pugno nello stomaco, è come rimanere stesi per terra ansimando.
Affannosamente cerchi di sfuggire adesso al suo pensiero, al ricordo di tutte quelle estati e quei natali passati insieme e spostando freneticamente tutto il resto, che ingombra la tua strada, inciampi in qualcosa di meno doloroso.
Fai fatica a fidarti, non lo riconosci, ma sai che non ti farà del male.
Un pomeriggio, un pomeriggio senza baci e senza carezze, quando ancora stentavi a parlare quella lingua che per metà è nel tuo sangue; un pomeriggio caldo e umido, odore di erba appena tagliata e macchine che camminano al contrario. Un paio di mani affusolate ti hanno dato un buffetto sulla guancia quando timidamente da dietro la gonna di tua nonna sei entrata in quella casa sconosciuta, non sapendo che sarebbe diventata anche lei un po’ casa tua, poi un sorriso dolce e ti hanno condotta nell’altra stanza. Lui è mio figlio cara, potete giocare insieme.Tesoro vieni a salutare la nuova arrivata, rimarrà qui per tutta l’estate, falla giocare con te, sono sicura che vi piacerete. E con una leggera spinta ti avevano avvicinata a quella manina paffuta che tesa verso te non aspettava altro se non che la prendessi. Solo pochi istanti da quando per la prima volta avevi incrociato il suo sguardo e già sentivi di poterlo seguire ovunque ti avesse guidato, nonostante i suoi passi incerti.
Ed è di lì che è cominciato tutto. Interi pomeriggi, giorno dopo giorno, estate dopo estate, passati insieme ad essere semplicemente se stessi a sapere di appartenersi in qualche modo. Se dovessi ora cercare un aggettivo da dare a tutto ciò sarebbe: perfetto. Perfetto come poche cose lo sono. Perfetto come le sue labbra che hanno cercato le tue nel blu della notte. Sotto una leggera coperta, guardando le stelle in giardino, distesi su di un piccolo materasso che in due ci si sta stretti abbastanza da dover abbracciarsi per non cadere giù. Un rivolo di vento ogni tanto sbuffava portando con se gli odori e i profumi delle case vicine. Il suo, di odore, e l’incavo del collo che sembrava esser stato fatto apposta perché tu ci appoggiassi la testa. Un bacio, rubato, sulla punta del naso e poi un altro.
E no, no, no . Ci risiamo. Eccola qui, di nuovo, quella fitta dritta al centro del petto. Sembra sia troppo difficile per te ricordare e non infliggersi altro dolore.

Ma questo cos’è? Fa male, lo senti, ma non è qualcosa di insopportabile, non a confronto con tutto il resto almeno. Sono due lacrime che rigano il viso, stavolta è il tuo, ed un oblò minuscolo, che però contiene tutto il mondo visto da lassù. Tutto il tuo mondo che si allontana da te, o forse sei tu che ti allontani da lui, e che diventa sempre più un punto lontano, più simile ad un disegno su di una cartina geografica che a come eri abituata a vederlo tu. Torna presto! ci vediamo a natale, vedrai che questi mesi passeranno in fretta e senza accorgertene sarà di nuovo estate e tu sarai di nuovo qui, con noi. Basta. Apri gli occhi perché non sai andare oltre a quel ricordo. Non vuoi rispolverare anche ciò che c’è stato dopo, per oggi basta così. Sei al limite, barcolli sul margine del burrone, un solo passo falso e vai giù, senza possibilità di risalire, basterebbe anche solo un respiro un po’ troppo azzardato e via, nulla più.

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