giovedì 8 marzo 2012

There must have been a time I was the reason for that smile.


Poter cambiare. Poter decidere di cambiare e di farlo anche contro il consenso degli altri. Poter voler cambiare per essere qualcosa, qualcuno di diverso dalla propria natura. Poter abbandonare la propria indole. Semplicemente cambiare e spogliarsi di tutto quanto ti appesantisce. Lasciare indietro le paure, le delusioni, le incertezze, le ferite non ancora completamente risanate, i ricordi, le lacrime e i sorrisi, le risate e gli addii, ma anche gli incontri e le scoperte. Tutto. Perché tutto a suo modo pesa e ti si addossa impedendoti di poter staccarti da te stessa. Barcollare ancora in bilico sul filo del destino attenta a non perdere l’equilibrio, a non cadere giù. Vertigini e il vuoto sotto di te che, quasi come calamita, sembra attirare a sé il tuo corpo instabile. Giorni, mesi, stagioni che si susseguono e tu che rimani ancorata alla tua quotidianità, prigioniera della nostalgia celata sotto forma di monotonia con cui lo scorrere del tempo, implacabile, ricopre le tue giornate tutte uguali tra loro, tutte ugualmente devastanti.
E in mezzo a tutto ciò puoi tendere leggermente il collo e guardare un po’ oltre la coltre nebbiosa che avvolge il presente, guardare un po’ indietro e trovare respiro. E quanto faccia male, non importa, perché farebbe male comunque, in qualsiasi direzione volgessi il tuo capo.
Vieni via di là, andiamo! La sua risata interrotta dal rumore delle onde che arrivate a riva si annullano in schiuma. Lo guardi con l’acqua alle ginocchia che non riesce a distogliere lo sguardo dall’immensità del blu misto all’arancione che è di fronte a voi. A dir la verità neanche a te va di andare via e rinunciare a tale spettacolo, ma si sa, il mare qui è così, imprevedibile e perennemente arrabbiato con chissà chi, con chissà cosa. improvvisamente si volta e ti fa segno di raggiungerlo. Seduta da dove sei con i piedi nudi immersi nella sabbia fredda e sassosa scuoti la testa, perché parlare sarebbe inutile; troppo lontano perché possa sentirti, troppo rumoroso il mare perché la tua voce possa giungere alle sue orecchie. Una folata di vento gelido ti colpisce di lato scoprendoti il collo. Rabbrividisci e ti stringi ancora un po’ nel tuo maglione. Nel frattempo si è voltato di nuovo dandoti le spalle. I riccioli oscillano quasi come fossero frustati, il profilo del collo, le spalle, le braccia per metà scoperte dalle maniche della felpa tirate su, il bacino, le cosce, i polpacci che si contraggono opponendosi ad ogni onda che arriva. Lo fissi, non potendo volgere lo sguardo altrove. Lo fissi e anche non potendolo guardare in viso potresti farne una descrizione dettagliata; ogni angolo remoto, ogni curva. Sicurezza. Stabilità. Tranquillità solo sapendolo lì, davanti ai tuoi occhi. Nessun pudore, nessuna vergogna e un guizzo di orgoglio nel poter affermare di sapere esattamente a chi appartenga quel corpo. Quasi leggerezza. Socchiudi appena gli occhi, sicura di non doverti preoccupare, sicura che quando gli riaprirai completamente lui sarà ancora là.
Un’altra folata di vento, stavolta ancora più gelida e prepotente ti costringe ad aprire di nuovo gli occhi e a guardare la realtà per quella che è. null’altro. Solo lei. Qui, di fronte a te. La salsedine ti si attacca addosso e si insinua nelle narici e la verità, ora in bella vista, lascia che piccole e calde lacrime scorrano sulle tue guance mescolandosi alla consapevolezza.
Ritorni con gli occhi fissi nel panorama, nell’infinito che avvolge questo pomeriggio solitario. Percepire la sua presenza nei luoghi dove ti aspetti che ti accompagni è rassicurante. È effimera illusione di non traballare più. In quei momenti è come se non ci fosse più motivo per cui desiderare liberarsi di tutti i pesi e cambiare. In quei momenti sembra quasi stupido voler abbandonare il peso che non ti lascia respirare a pieni polmoni.  

[E questo era il 100!]